Nathan Never e l’insostenibile pesantezza dei rottamatori

Accadde che Antonio Serra, uno dei papà di Nathan Never,  lasci per scelta personale il suo incarico di curatore delle testate bonelliane dedicate all’universo futuribile dell’Agente Alfa che lui stesso ha contribuito a creare insieme a Michele Medda e Bepi Vigna.

Fin qui la notizia che, seppure importante per noi fumettofili, resterebbe confinata al mondo delle nuvole, se il mio vicino di blog dirigente del PD lombardo,  Marco Campione, non riprendesse, sul suo sempre arguto blog, la lettera di commiato di Serra ai lettori per trarne una parabola “democratica” sull’etica della rottamazione positiva.

Sostiene Campione che Serra ha compiuto un bel gesto, perché ha lasciato il suo incarico a un collaboratore più giovane, favorendo quel giusto ricambio generazionale che invece gli antidiluviani dinosauri della politica italiana non fanno.

Ecco, se il ragionamento di Marco Campione, servisse a lanciare una petizione per fare senatore a vita Antonio Serra, ma anche Michele Medda e Bepi Vigna aggiungo, non avrei problemi a esserne il primo firmatario. Ma se la logica del paragone  serve invece – come mi sembra – a rilanciare la polemica sulla giustezza del ricambio generazionale in politica, francamente lascia il tempo che trova.

Non so che esperienze abbiano  i miei venticinque lettori, ma personalmente ho frequentato diversi ambiti di lavoro, anche limitrofi al fumetto, e non mi sembra che le cose  vi funzionino in maniera  tanto diversa dai partiti. Le persone sensibili come Serra rappresentano un’eccezione, i più rimangono agganciati, come le cozze allo scoglio, alle piccole e grandi rendite di posizione che si sono guadagnati, o che hanno ereditato negli anni. E’ nella logica delle cose? Forse sì, forse no.

Certo è che  nessuno di noi potrebbe recarsi sul posto di lavoro e puntare il dito contro il suo capo, dicendogli che ne so:

“Hai rotto le balle! Sono quindici anni che sei su quella poltrona è ora che smammi.”

Lo stesso collaboratore di Antonio Serra, che ora ne prenderà il posto, non credo che entrasse a via Buonarroti la mattina e pontificasse in redazione:

“Ma perché scrivono sempre gli stessi ste’ storie? Non sarebbe ora di dare spazio ad autori più giovani?”

Ovvio, mi risponderete: in politica è diverso.

Appunto, talmente diverso che ci si può permettere, partendo da dati di fatto seri – un paese invecchiato socialmente e una classe dirigente altrettanto ammuffita  – di costruire una squallida faida di piccole botteghe (oscure). Ormai quasi non si discute più di come innovare le cose, sembra che l’unico problema sia rimpiazzare chi ha la carta d‘identità più logora.

Guardate:  lo dico senza alcuna simpatia per i brontosauri del Parlamento. Due sere fa, quando il leader Maximo  ha annunciato che non si ricandiderà, ero contento come se Skotos, Xabaras e Mephisto – tanto per restare al fumetto bonelliano – annunciassero il ritiro dalle scene.

Ma ridurre tutto a questo è triste. E’ un modo mediocre di parlare di cambiamento, che non tocca le ragioni reali della paralisi che attanaglia il paese da oltre un ventennio. Ci si ferma al “folklore” mentre il punto vero dovrebbe essere quello descritto dallo scrittore Antonio Scurati su la Stampa qualche giorno fa e segnalato anche da Civati:

«La generazione che risolleverà l’Italia sarà una generazione culturale, non anagrafica. Donne e uomini, di qualsiasi età, che praticheranno una diversa idea di mondo».

Al dunque, ho la sensazione che questa apologia della rottamazione otterrà l’effetto opposto a quello che chi chiede a gran voce il cambiamento cerca. Farci, quasi, rimpiangere il passato, farci venire voglia di tifare per il cattivo, anche se ha la faccia perfida di Massimo Skotos Xabaras.

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