Storia di un giorno da cani

Per la verità, il sottoscritto è rientrato a lavoro già da una settimana.

Ma stamattina, penso a tutti coloro che invece rientrano dalla ferie. E’ una storia che conosco, che conosciamo tutti.

Il racconto, di solito,  parte con una sveglia che ti trapassa il sonno come il trapano del dentista nazista, Laurence Olivier, in quel vecchio film.

E, mentre, ancora le orecchie sanguinano, le palpebre si aprono faticosamente  su un sole che non ti era mai apparso così pallido, tanto da chiederti, illuso, se la sveglia non sia stata programmata con sei ore d’anticipo.

Segue il penoso percorso strisciante, o in ginocchio, sino al lavandino.

Qui  uno zombie, degno di una pagina di Dylan Dog in bianco (la faccia cadaverica) e nero (le occhiaie e l’umore), ti lancerà dallo specchio uno sguardo di commiserazione.

Il resto sarà tutta routine  ritrovata, ma al rallentatore. Una moviola motoria pachidermica, alimentata da qualche sbadiglio/barrito di disperazione e da costanti incontri, per la strada, a lavoro, con altre centinaia di zombie.

Infine, per farti coraggio, il vecchio collega – con trent’anni d’anzianità aziendale, roba da Legion d’onore – ti mostrerà il calendario da tavolo dove ha diligentemente annotato  che a Natale mancano soltanto 120 giorni.

Del resto, non c’è soluzione. Se non sperare di svegliarsi come Ally McBeal  con Gloria Gaynor in camera da letto.

Anche se ti riesce difficile crederlo stamattina, in fondo we will survive. Lo facciamo sempre.

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