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#LetiziaBattaglia #senzafine

A volte la bellezza delle cose ti travolge in modo repentino e inaspettato.
Mi è accaduto qualche giorno fa alle Terme di Caracalla a Roma con la mostra fotografica “Letizia Battaglia: senza fine”.
Un allestimento visivo, unico nel suo genere, curato da Paolo Falcone, con 90 scatti della celebre fotografa siciliana, collocate tra gli spazi architettonici e naturali dell’antica terme voluta dall’imperatore Caracalla quasi 2000 anni fa.

Amo molto il lavoro di Letizia Battaglia.
C’è l’aspetto dello storytelling civile, struggente e potentissimo, che lei ha incarnato e con cui mi sono formato. Come avrebbe detto Francesco Rossi, il suo coraggio di guardare le cose e non il proprio ombelico, come certi artisti anche dotati – a volte – finiscono purtroppo per fare.
Ma faremmo un torto a questa immensa fabbricatrice di storie d’immagine, se riducessimo la sua opera alla sua dimensione civica e politica, per quanto importante.
C’è molto di più nel modo in cui Letizia spinge il suo obiettivo a interrogare la realtà, in cui attraverso gli occhi dei soggetti ritratti ci chiama dentro le sue storie. Che siano vicende di morte o vicende d’amore. Ed anzi una delle sue qualità espressive più incredibili è proprio nel mostrarci come, spesso, queste due dimensioni anche nella ferocia mostruosa della violenza mafiosa, siano intimamente intrecciate.
Averle ricollate lì, tra le antiche vestige della nostra civiltà, permette di apprezzare le fotografie di Letizia Battaglia in un tempo più lungo di quello della contemporaneità che le ha generate. Da un lato, perché sono passati ormai più di trenta o quarant’anni da alcuni di questi scatti e, di fatto, queste storie sono ormai esse stesse Storia. Dall’altro, perché farli galleggiare lì, tra i mosaici e le colonne romane, tra i fili d’erba e il cielo, li libera dai confini delle cronaca, nera o bianca che sia. E rimane lo sguardo narrativo di una artista, capace di restituirci attraverso la fotografia, il respiro della vita, a volte affannoso, a volte strozzato, a volte emozionato, ma sempre colmo di “pietas” e di umanità.